

Queste fotografie non raccontano storie di volti, ma di presenze.
Non svelano vite, ma evocano atmosfere.
Le foto condividono un linguaggio visivo che parla di spazio, proporzione e atmosfera; non ci impongono una domanda, ci restituiscono un sentimento.
La scala del paesaggio e il gioco delle proporzioni ridimensionano le figure umane, che diventano un dettaglio.
Eppure gli individui, inconsapevoli di essere osservati, rimangono comunque punti di riferimento.
L’essere umano è al centro, ma non domina. Semplicemente esiste.
È parte del tutto: un elemento che si dissolve nello spazio e nel tempo.
Il paesaggio lo contiene e, allo stesso tempo, lo definisce. I suoi gesti semplici diventano importanti e riconoscibili, in quanto appartengono a tutti noi.
Un appello a riflettere su cosa significhi essere un frammento di qualcosa di più grande, trovando nel vedere stesso un atto di consapevolezza.
Lo sguardo del fotografo e di chi osserva queste foto si allineano: entrambi si ritrovano a fermarsi, osservare, riconoscere un movimento, quindi a sentirsi parte di esso con l’umiltà di chi si fa attraversare da ciò che osserva.
È un meccanismo silenzioso, in cui l’osservatore diventa parte del processo, trovando, nelle tracce lasciate da altri, un riflesso di sé.
È un invito alla lentezza, alla contemplazione e all’empatia: in un mondo che accelera, caratterizzato da una crescente polarizzazione sociale, queste immagini ci chiedono di fermarci e di riconoscere, nella semplicità dei gesti di quelle figure rappresentate, l’umanità che ci accomuna.